PIANTE DA FRUTTO ANTICHE, DA NON DIMENTICARE

PIANTE DA FRUTTO ANTICHE, DA NON DIMENTICARE

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Riscopriamo le piante da frutto antiche, curiose, dimenticate

Conoscere per amare

Se chiedete oggi ad un bimbo quanti frutti conosca, ve ne citerà meno di dieci: mela, pera, ciliegia, prugna, albicocca, pesca, banana, uva e (se è particolarmente creativo) kiwi. Se poi chiedete ad un adolescente di dirvi quale varietà di mela sta addentando (ammesso che la addenti, tra un hamburger e l’altro), vi guarderà smarrito. Per lui parole come “renetta”, “stark delicious”, “granny Smith” sono praticamente sconosciute.

L’omologazione e la banalizzazione dei cibi per le nuove generazioni rappresenta un grave danno culturale al quale dovremmo porre rimedio in tutti i modi possibili.

Si dirà, giustamente che ci sono problemi più importanti: la disoccupazione, la casa, la miseria. Verissimo. Tuttavia molti dei problemi quotidiani (violenza, immigrazione, criminalità, qualunquismo, apatia, superficialità) derivano proprio da uno sradicamento totale dalle proprie tradizioni, dalla propria cultura, dai propri riti. E come può sentirsi una persona priva di punti di riferimento culturali, priva di maestri, priva di una famiglia, priva di uno stato e spesso priva di valori?

Il problema non è solo italiano. Le popolazioni rurali che in Asia o in Africa, nei paesi poveri, migrano verso le poche città sovraffollate (Nairobi piuttosto che Calcutta, o l’Europa opulenta e sprecona, non fa differenza) sradicandosi dal proprio ambiente perchè attratte da un momentaneo benessere dovuto all’espansione capitalistica, e alla ricerca di forza-lavoro, non sanno che così facendo perdono definitivamente contatto con le loro radici.

In Italia l’industrializzazione ha portato dalle campagne nelle città moltitudini di persone, che hanno preferito il lavoro sicuro in fabbrica a quello più incerto dei campi. Negli anni ‘50 e ‘60 i flussi sono stati intensissimi. Ma l’ex agricoltore ha capito troppo tardi che il baratto non era del tutto a suo vantaggio. E la scoperta è avvenuta drammaticamente in periodo di crisi (anni ‘70, austerity, licenziamenti, lotte sindacali) quando l’operaio licenziato o disoccupato non poteva più far conto sui frutti dell’orto e del frutteto stringendo un po’ la cinghia per sè e per la propria famiglia, ma era costretto ai lavori più umilianti per pagare l’affitto di un appartamentino, il conto salato dei negozianti (inflazione al 20%) e le rate della seicento e della TV che, un po’ incautamente, aveva acquistato. In quel momento si rendeva conto che in cambio di un pezzo di pane bianco e profumato, aveva rinunciato a vivere in un mondo più a dimensione d’uomo, più a contatto con la natura, meno inquinato e violento. E ora che mancavano i soldi per mantenere un dignitoso tenore di vita, e l’unico panorama disponibile era un muro ammuffito dietro la stazione immerso nello smog e nel rumore, prendeva atto del fatto che il cambio non era stato poi quel gran che.

Isolato in quel buco, l’ex contadino pensava con nostalgia ai suoi campi e alle sue montagne, alla gioia di un innesto ben riuscito, al sapore di un frutto colto dall’albero, alle conserve e ai biscotti fatti in casa, e capiva come i suoi figli, nati in città e sognanti motorini e aeromodelli avessero perso per sempre una ricchezza di termini, di sapori, di colori, di profumi che lui invece aveva potuto conoscere.

Oggi i figli dei suoi figli, adolescenti, pensano che gli hamburger si producano in fabbrica (e non sono così lontani dal vero) e che il latte venga munto alla centrale del latte, ignorando il fatto che tutto ciò che mangiano viene, direttamente o indirettamente, dalle piante e dal sole. E il problema tocca noi tutti.

Che cosa mai sarà un azzeruolo? E un sorbo? E una pera coscia, o una mela poppina? Che sapore, consistenza, croccantezza avranno mai? E come si farà ad innestarle? E perchè dal seme non si hanno frutti per tanti anni? Chiediamoci con franchezza se siamo in grado di rispondere a queste e simili domande. Perchè se non siamo in grado noi di farlo, non saremo nemmeno in grado di trasmettere queste informazioni ai nostri figli, e ai figli dei nostri figli.

 

Frutti antichi - limo napoletano

C’è qualcuno in Italia che sta adoperandosi da anni per il reperimento, la riscoperta, la diffusione di varietà vecchie e antiche di piante da frutto, con l’intento di farle conoscere, apprezzare e mantenere in vita. E’ l’associazione Pomona, che prende il nome da un libro del 1800 di G.Gallesio (Pomona italiana), che riportava numerose varietà di piante da frutto bizzarre o particolari di quel tempo. Questa associazione (che non ha scopi di lucro) si è occupata negli anni di ricercare, moltiplicare, coltivare e diffondere queste piante, con l’intento di conservare e incrementare un patrimonio culturale (questa volto molto “solido”: fatto di colori, sapori, profumi) che è patrimonio di tutti e che non deve in alcun modo andare perduto. Perchè è solo conoscendo queste bellissime piante che le si può amare, ed è solo amandole che si riesce a coltivarle, proporle, riscoprirle.

Un sapore per ogni palato

Non c’è motivo per limitarsi a conoscere dieci tipi di frutti quando madre natura ci ha donato un “eden” ricco di migliaia di sapori, forme e dolcezze diverse. Pretendo che mio figlio sappia che cos’è una giuggiola e che sapore ha una nespola, voglio che conosca l’acidità di un’amarena e l’aroma di un corbezzolo, voglio che possa ricordare il profumo di un lampone giallo e la freschezza di una melagrana, la croccantezza di una mela selvatica o l’infinita dolcezza dell’uva moscatella ad acino lungo. E voglio (come diceva uno dei ragazzi della scuola di Barbiana di Don Milani) che non debba mai dire: “questo è un albero” ma piuttosto “questo è un faggio, questa è una farnia, questo è un olmo”.

Frutti antichi - caravaggio

Se si cammina per un bosco, o per un sentiero di campagna o di montagna, si trovano tantissime piante diverse, dai frutti commestibili: prugnolo, ciliegio a grappoli, melo, pero e ciliegio selvatico, ciavardello, sambuco rosso e nero, sorbo domestico e degli uccellatori, cotogno, farinaccio, pero corvino, biancospino, olivello spinoso, corniolo, azzeruolo, rosa canina e rugosa, more rosse e nere, lamponi, fragole, mirtilli rossi e neri, ribes, noci, nocciòli, castagni, corbezzoli. Conoscerle vuol dire poter assaggiare mille sapori diversi, scoprire gli habitat preferiti da queste piante, capirne lo sviluppo, riconoscerne il colore del tronco, la posizione preferita (all’ombra, al sole, vicino a corsi d’acqua). Vuol dire imparare ad amare le mille facce della natura che ha accompagnato l’evoluzione dell’uomo, sempre alla caccia di nuovi frutti e di nuovi prodotti commestibili provenienti dalla terra. Recuperando quella parte di noi, così importante e così trascurata, che ci rende migliori e più sereni ogni giorno.

Tra l’altro non solo piante curiose sono state trascurate, ma anche molte varietà particolari di piante da frutto comuni sono state colpevolmente dimenticate negli ultimi decenni: chi si ricorda infatti il sapore di una mela “parmena” o “calvilla”, di una pera “martin sec” o “crusit”, di una percoca o di una nettarina a polpa bianca, di una susina “grossa di felisio” dalla polpa scura o di un grappolo di uva rosa “seibel”. Per non parlare del colore: la polpa rosa della mela “carla”, il ciliegio “durone giallo”, il lampone giallo, le more rosse, la mela “renetta grigia di Torriana”, il susino “trasparente”. Qualcuno poi si ricorda forse di frutti dalle forme curiose? Per esempio il fico “fiaschetta lunga di Campagnola”, il pesco “buco incavato” e “platycarpa” (a frutto piatto), la mela “renetta ananas”, il nashi (mela/pera) e il biricoccolo (susina/albicocca). La natura si è sbizzarrita a creare forme, sapori e colori diversissimi anche per i frutti più comuni. Perchè proprio noi dobbiamo assumerci la responsabilità di perdere per sempre questa ricchezza? Mettere una di queste piante nel proprio giardino vuole dire, nel proprio piccolo, contribuire ad un salvataggio che non è solo biologico ma, soprattutto, culturale.

Curare la terra per guarire gli uomini

E’ il titolo di un interessantissimo libriccino di Claude Aubert (ed.Red Como), agronomo francese da tanti anni impegnato per una agricoltura sostenibile, che cerca di far capire come attraverso l’attenzione e il rispetto per la natura, si ottenga anche in cambio un miglioramento della propria salute. Ed infatti questo è ciò che si scopre dedicandosi con amore alla coltivazione e alla riscoperta di tante varietà di piante dimenticate. Coltivando infatti un pero cotogno, un albicocco “luizet” e un pesconoce a polpa bianca si contribuisce a conservare (oltre che un valore culturale) anche un patrimonio biologico fatto non solo di colori, sapori, forme e profumi, ma soprattutto di resistenza ai parassiti, o a certi terreni o climi, e di ricchezza in contenuti nutrizionali. La presenza sul mercato di una gamma limitatissima di varietà di frutta (ma questo vale anche per ortaggi e cereali), comporta un rischio biologico molto elevato. Se infatti si perde una parte del patrimonio genetico naturale, si indeboliscono sempre più le limitate varietà presenti, consentendo a pochi parassiti di danneggiare interi raccolti, o obbligando gli agricoltori a trattamenti antiparassitari sempre più intensi. E si impoveriscono (quando non si avvelenano) i valori nutritivi delle mense dei nostri figli, e della nostra tavola.

Una grande varietà di piante diverse consente invece una estrema diversificazione di colori, sapori, resistenze e contenuti nutrizionali, con immenso vantaggio per la comunità e per ogni singolo individuo.

Ecco perchè l’associazione Pomona da anni si occupa di ricerca, recupero, conservazione e diffusione di varietà di frutta antiche, curiose o dimenticate, a partire da quelle disegnate sul libro del Gallesio.
 
I nostri figli, una volta abbandonati hamburger, motorini e giubbotti di pelle, per avere saputo riconoscere un sorbo e un giuggiolo, forse, in silenzio, ci ringrazieranno. E a noi, forse, basterà.

Mario Pria
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